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Bruno Schulz. Un ebreo. Forse il maggior scrittore polacco tra le due grandi guerre mondiali. Figlio di un bizzarro mercante di stoffe. Professore di disegno artistico e tecnico al Ginnasio di Drohobyez. "Un solitario". Così ce lo presenta D.Grossman nel suo romanzo "Vedi alla voce: amore" in un capitolo interamente dedicato al grande scrittore, assassinato da un ufficiale tedesco nel 1942. Ma scrive ancora che Bruno non è morto, ha preso un treno per Danzica e, attratto dal fascino del famoso dipinto di Munch, si è avvicinato al quadro e lo ha baciato. I custodi lo hanno picchiato; è sceso al mare e nel mare si è immerso, è diventato pesce, salmone in un branco di salmoni, accompagnandoli nel lungo viaggio di ritorno al loro fiume di origine.
Bruno diventa mito.
Nasce Schultz da famiglia ebraica nel 1892 a Drohobyez nella Galizia austro-ungarica, all'estrema periferia dell'impero, dove convivono etnie diverse, ma la più consistente è quella ebraica. In Galizia, prima della guerra, viveva la maggior parte del popolo ebreo, che era affluito qui dai luoghi più disparati, in cerca di pace, perseguitati ovunque e costretti all'esilio. Vivevano in condizioni economiche arretrate, legati tenacemente alle loro tradizioni religiose e alla lingua yiddish, con un grande amore per lo studio, perché i valori intellettuali erano tenuti in grande considerazione. Nello shtetl, così spesso sconvolto nel tempo dalle persecuzioni e dai pogroms, la vita scorre semplice, esso è "un microcosmo organico ed armonioso in se stesso...un universo domestico...con punti di riferimento validi per tutti..." (1) Bruno cresce in questa realtà. Un bambino fragile, malaticcio, vive isolato, molto coccolato dai genitori che sono già avanti negli anni. Studia architettura al Politecnico di Leopoli, poi si trasferisce a Vienna all'Accademia delle Belle Arti. Rientra nella città natale e insegna disegno e lavori manuali al Ginnasio, per dovere e costretto dalle ristrettezze economiche, in seguito alla morte del padre. La vita che conduce non lo soddisfa, è scontento "i doveri di servizio mi riempiono di orrore, di ripugnanza, raggelano la gioia della vita". L'ambiente familiare è opprimente: vive in un'enorme casa con la madre, la sorella, malata di nervi, una vecchia cugina. Tutte donne che gli ciabattano intorno, donne malinconiche, che lo sommergono di attenzioni. L'unica che illumina con la sua giovinezza quella quiete malsana è Adela, la servetta "Adela che tornava nei mattini luminosi, come Pomona dalle fiamme del giorno infuocato e versava nel canestro le bellezze variopinte del sole: lucide ciliegie...albicocche che celavano nella polpa dorata il succo di lunghi pomeriggi...lo scenario della sua giovane vita..."
È bruttino " minuto, bizzarro, chimerico, assorto, teso, quasi bruciante" (2), un misantropo non per scelta, piuttosto incompreso, un escluso "uno gnomo minuscolo, dalla testa enorme" (3) troppo spaurito per avere il coraggio di esserci, come se non si sentisse in diritto di vivere. Si ritrae ai bordi dell'esistenza, cammina in punta di piedi, ma ha un grande desiderio di amicizia, che si conquista con le incantevoli lettere, che scrive a poeti e scrittori, conosciuti nei brevi e rari viaggi, come Debora Vogel, incontrata a Zakopane o Zofja Nalkowska, che lo convincerà a pubblicare "Le botteghe color cannella". All'età di quarantadue anni è ancora poco conosciuto. Lo legge e lo ammira Gombrowicz, che scrive "se si accorgeranno dello splendore... della luce particolare che emana da lui, come da un insetto fosforescente... allora le estasi del buongustaio lanceranno in alto"questo artista nell'ombra "con le sue storie surreali, con la loro vibrante rappresentazione metafisica dello shtetl" (4). Oltre le sue opere narrative: "le botteghe color cannella" - "il Sanatorio all'insegna della clessidra" e"La cometa" ci rimangono di lui tante lettere, quadri e disegni, mentre è andato perduto l'ultimo lavoro cui si stava dedicando: "Il Messia". Opere che sono i frutti meravigliosi della sua breve vita e ci raccontano l'infanzia nella casa all'angolo di via Samborska con via del Mercato. Immaginiamo questa " piccola città situata al centro di una pianura... si estende in piano. Comincia con piccole capanne e con piccole capanne finisce. Le case succedono alle capanne. E da qui partono le strade. Una corre da sud a nord, l'altra da est a ovest. Al loro punto di incrocio si trova la piazza del Mercato" (5). Questa casa così normale e quieta, viene trasformata dalla sorprendente fantasia di Bruno in un susseguirsi ed intrecciarsi di corridoi e giardini ridondanti di vita e di colori, diventa un luogo incantato, dove " finite le pulizie... Adela faceva ombra... abbassando le tende di tela. La stanza si riempiva d'ombra quasi fosse immersa nella luce di profondità marine e... a luglio... in pasto alle giornate arroventate e abbacinanti, inebriati di luce, sfogliavamo il grande libro delle vacanze, le cui pagine avvampavano di sole e avevano nel fondo la polpa dolce, fino alla nausea, delle pere dorate... ogni giorno la grande estate trapassava da parte a parte il buio appartamento..." Dotato di una straordinaria ricchezza espressiva, Bruno è esuberante, stravagante, onirico, un mago della parola che usa con estrema disinvoltura e piega ai suoi umori per regalarci sensazioni indimenticabili. Egli ci conduce per mano nel cuore delle cose, per coglierne l'essenza sublime e leggere nel visibile-invisibile. La sua scrittura traduce amore per la vita, per tutto ciò che appare, ma è diverso, variegato, complesso , in continuo movimento, un gioco infinito delle apparenze , una "mascherata universale", dove il tema della metamorfosi è quasi ossessivo , gli uomini facilmente si trasformano in oggetti , e viceversa. Il suo è un amore disperato, di un escluso da tutte le sue dolcezze. La memoria riprende a caso i ricordi, modifica gli eventi, in un disordine apparentemente capriccioso, deformante, burlesco, per superare la desolazione del presente, in un mondo definitivamente frantumato, che ha visto crollare certezze, benessere, sicurezza, in un mondo tradito dal nuovo, volgare, grottesco e superficiale. Il passato sempre più velocemente ed impietosamente viene calpestato in nome del profitto, il passato che Bruno con rimpianto rievoca, pieno di fascino, con radici ben piantate nella tradizione, il cui simbolo è la botteguccia di tessuti del padre, brulicante "di nugoli di tarme... dove sedeva mio padre, come in un'uccelliera, sopra un alto sgabello... e tutti i nidi e le nicchie erano pieni del cinguettio delle cifre... e... si poteva seguire il rito rumoroso, pieno di uno strano cerimoniale, degli acquisti autunnali"... Il negozio di pannilana del padre si trova accanto alle botteghe color cannella, il colore delle " brune boiseries che le rivestono". Questi negozi così nobili, ancora aperti a notte inoltrata "erano sempre stati per me oggetto di fervidi sogni. Fiocamente illuminati, scuri e solenni, i loro interni odoravano di... aromi di terre lontane... erano stazioni di leggerezza, sonagli di spensieratezza, disseminati negli abissi dell'immensa notte tortuosa e battuta dai venti". Esse sono il cuore del vecchio sistema patriarcale che si contrappone alla via dei Coccodrilli, una via dove "mancano le passioni eccezionali e oscure". Vi abitano avventurieri senza scrupoli "una generazione impoverita... vuoti dentro e splendidamente colorati fuori", un mondo inaccettabile, pieno di paccottiglia e di ciarpame. Accanto alle botteghe color cannella ha il negozio il padre di Bruno, protagonista esemplare dei suoi racconti, mercante eccentrico, poeta un po' bislacco, che appare e scompare come un folletto dispettoso, sotto forme diverse, in una perenne metamorfosi, che lo fa vivere anche quando non è più di questo mondo. Consumato da una lunga malattia, muore, ma rivive continuamente "era morto molte volte, mai completamente, sempre con certe riserve." Egli è stato per Bruno una figura di riferimento, di solidità, uno degli ultimi esempi del "mondo di ieri", un mondo minuscolo e semplice, lo shtetl " cosmo organico... un cordone ombelicale...un'umanità integra ed illesa nella sua carica affettiva" (6), fino al tramonto prima della Mitteleuropea apparentemente felice fino al drammatico crollo dell'Impero, il grande Impero di Cacaina e del suo ultimo, patetico Imperatore "con la sua faccia immusonita... potente demiurgo i cui occhi si facevano sempre più duri e azzurri..." Con amarezza Bruno ci racconta la dissoluzione del potente Impero, la sorte tragica di Massimiliano d'Asburgo, mandato in Messico e fucilato a Queretaro nel giugno del 1867. A lungo rimase nella memoria dei suoi sudditi, lui così bello e generoso, l'incarnazione della poesia. Anche il padre di Bruno, avventuroso trasformista e arruffone, un po' svitato, come tanti personaggi delle storielle chassidiche, è un personaggio poetico "incorreggibile improvvisatore... da solo mosse guerra all'elemento sconfinato della noia che soffocava la città. Senza alcun appoggio l'uomo straordinario difese la causa della poesia... come un mulino magico, nelle cui macine si riversava la crusca delle ore vuote, per riemergere dai suoi ingranaggi fiorita di tutti in colori e i profumi delle spezie d'Oriente... e... ci salvava dal letargo di quei giorni e di quelle notti vuote". La sua perdita è un grande dolore per Bruno, aggravato dalla consapevolezza che la madre non lo aveva mai amato, uomo "eternamente sospeso alla periferia della vita... tutto in lui... stravagante e dubbio". "Era morto molte volte, mai completamente, sempre con certe riserve" ed è la stessa sorte che è toccata a Bruno, che nel tempo è stato preso e lasciato parecchie volte, è apparso e scomparso dagli scaffali delle librerie, ha destato perplessità e congetture. Ma dove è finito Bruno: davvero in mare?
Quando i tedeschi occupano la città "con i loro sguardi assassini e le facce paonazze e grasse" (7) e la occupano in modo brutale attuando subito la politica antiebraica, anche con l'istituzione nel 1941 del ghetto, Schultz, sebbene malato, non si risolve a fuggire. Da sempre un indeciso, non se la sente di allontanarsi dall'ambiente familiare. Gode della protezione di un uomo importante della Gestapo, Felix Landau, per il quale svolge lavori di falegnameria e ritratti, per sopravvivere. Questo gli dà sicurezza. Poi venne la liquidazione del ghetto, i tedeschi riversano sugli ebrei un odio inimmaginabile (8) "furono colti nel pieno delle loro esistenze - e il loro mondo - che pulsava in questi posti, i negozietti e le bancarelle, l'andirivieni della gente, i carretti, i cavalli, il suono dello yiddish e dell'ebraico, tutto questo non c'è più" (9).
Anche Schultz è vittima del delirio nazista. Un alto ufficiale delle SS, nemico di Landau, un certo Karl Gunther, il 19 dicembre del 1942, spara un colpo a Bruno, mentre cerca di rincasare con la sua razione di pane. Si reca quindi da Landau e gli dice: "tu hai ammazzato il mio ebreo, io ora ho ammazzato il tuo."In un modo così assurdo ed incomprensibile è morto uno scrittore, che non faceva del male ad una mosca, un uomo inoffensivo, mite, malato. Era stata profetica Zofja Nalkowska quando aveva scritto ad amici: "sorvegliate Bruno. Sorvegliatelo per lui stesso e per noi". Un grande scrittore è rimasto vittima inerme di una protervia senza precedenti, uno scrittore singolare, che ci ha lasciato pagine che sono gioielli della letteratura contemporanea, che fra le lettere che le compongono "lascia sfuggire stormi di rondini...celanti nel loro nucleo, in fondo in fondo, una pupilla azzurra, un occhio di pavone, un nido urlante di colibrì". Uno scrittore fantastico,per il quale la letteratura è soprattutto gioco,invenzione. Uno scrittore che intende l'arte come proiezione dei suoi sogni,delle sue fantasie, libertà,movimento. Non si nasconde dietro filosofie o ideologie,con la presunzione di possedere verità da rivelare,non si sente in grado di dare certezze,parole definitive. "Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l'animo nostro informe... non domandarci la formula che mondi possa aprirti - sì qualche storta sillaba e secca come un ramo-codesto solo oggi possiamo dirti - ciò che non siamo, ciò che non vogliamo"(10). Solo sofferenza e dolore il poeta conosce e racconta con l'illusione di esorcizzarli, poichè viviamo ognuno la nostra angoscia e non possiamo presumere di dare certezze su "quest'atomo opaco del male", se non dubbi ed incertezze. Poeta del paradosso,ama il delirio dell'immaginazione come una terapia,che gli permette di stemperare con il sorriso ironico e l'umorismo tagliente il dolore. I suoi scritti con la loro sensualità barocca che raccontano la lussureggiante realtà rimangono per noi tesori da custodire e da amare. Essi trasudano sangue.
Note nel testo
1. C. Magris: Lontano da dove
2. W. Gombrowicz: Frammenti
3. W. Gombrowicz: Frammenti
4. E. Hoffman: Shtetl
5. J.Roth: Ebrei erranti
6. E. Hoffman: ibidem
7. E. Hoffman: ibidem
8. E. Hoffman: ibidem
9. C. Magris: ibidem
10. E. Montale: Ossi di seppia
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Per saperne di più: Bruno Schulz su Wikipedia