- seconda parte -
Ritorna alla prima parte
L'autrice prende in esame come caso più rappresentativo
ciò che è avvenuto in Russia, nell'intreccio tra libero mercato e economia
canaglia: "nel vuoto politico che si viene a creare, l'economia
canaglia trasforma la globalizzazione, l'invenzione della reganomics,
del thatcherismo e della modernizzazione, in un mutante animato di vita
propria". Per rimanere nei limiti di spazio di queste pagine riportiamo
il giudizio dell'americano Raymond Baker, analista di politiche
internazionali, su ciò che è avvenuto in Russia nell'intreccio tra
criminalità corrente e criminalità finanziaria: "Negli anni Novanta la
Russia ha subito il maggior furto di risorse mai avvenuto in un paese
in un arco di tempo così breve. Una stima al ribasso va dai 150 ai 200
miliardi di dollari in dieci anni, ma si pensa che possa arrivare fino
ai 350 miliardi di dollari". Ivi compresi i miliardi di dollari spesi
dal Fondo monetario internazionale per il salvataggio del rublo, a
garanzia dei crediti occidentali, e transitati nelle tasche degli
oligarchi. Ora la immemore e disinformata opinione pubblica europea
stenta a capacitarsi delle ragioni del risentimento russo nei confronti
dell'Occidente. Aggiungiamo, come se non bastasse, che i paesi della
Nato hanno fatto carta straccia degli accordi a suo tempo raggiunti con
la Serbia sulla non indipendenza del Kossovo. I contraccolpi della
diplomazia della furbizia e degli atti di forza occidentali, che hanno
messo in un canto il principio sancito negli accordi sulla sicurezza
europea di Helsinki sulla intangibilità di confini nel caso della
sciagurata decisione sulla indipendenza del Kossovo, si stanno ora
vedendo nella ritorsione del drammatico caso della Georgia.
Bisognerebbe spiegare perché nel caso del Kossovo sì, mentre nel caso
dell'Ossetia no.
"I gestori degli hedge funds e private equity - scrive
l'autrice – sono l'ultima frontiera del capitalismo globale".44
Insistendo sul fatto che nessuno controlla l'economia canaglia,
Napoleoni ripercorre a grandi passi il frutto di quella che definisce
la maledizione comunista che, contrariamente a quanto si potesse
temere ai tempi della Guerra Fredda, non è consistita nella distruzione
del capitalismo, ma nella sua vittoria. Già, perché "nessuno può
spiegare che l'impoverimento del ceto medio americano è avvenuto negli
ultimi 15 anni, innescato dalla caduta del muro di Berlino e alimentato
dall'avvento dell'economia globale. Sembra il risultato di un destino
beffardo". La sconfitta del comunismo "getta le basi per il declino
socioeconomico del ceto medio americano. Una grande vittoria globale
che distrugge la base stessa del mito americano". Ecco cos'è per
l'autrice la maledizione comunista, non la sua vittoria ma
l'effetto di impoverimento su quei ceti che più hanno sostenuto la
democrazia.
L'affermazione non è solo ad effetto. L'autrice ne documenta i fenomeni
principali, particolarmente in Gran Bretagna e Stati Uniti, alcuni dei
quali abbiamo già visto commentando il libro di Giorgio Ruffolo e altri
ne vedremo con il libro di Joseph E. Stiglitz.45 La scriteriata
politica monetaria ed economica seguita negli anni novanta e oltre, il
credito troppo facile e i bassissimi tassi di interesse gestiti dalla
Federal Reserve hanno generato, tra l'altro, l'attuale crisi dei
subprime che non si sa come andrà a finire, visto che all'enorme
indebitamento attuale non corrisponde una copertura sufficiente.
Eppure, la natura dell'economia finanziaria attuale è tale che "c'è chi
prospera sui fallimenti" sempre più fitti (il gioco del cerino di cui
abbiamo parlato). Nei soli Stati Uniti, alcuni analisti ipotizzano che
"quasi una famiglia con figli, su sette, si dichiarerà al verde,
sconfitta dai grandi Monopoli dell'economia americana".46 Nel
frattempo, la disparità dei redditi, ossia la fine dell'equità è
arrivata a livelli tali da far esclamare all'autrice che si è tornati a
una condizione medievale, quando poche persone possedevano quasi tutto.
Viene citato l'efficace rappresentazione visiva creata dall'economista
olandese Jan Pen, il quale ha immaginato una parata in cui la
popolazione sfila a diverse altezze, a seconda del reddito. "Chi ha un
reddito medio è alto un metro e settanta, mentre chi ha il reddito più
basso rasenta il metro, ovvero la soglia della povertà". La sfilata va
avanti e l'altezza dei partecipanti cresce molto lentamente, ma quando
tocca all'ultimo un per cento della popolazione, "di colpo sfilano i
giganti"; alcuni sono alti 300 metri (sei milioni di dollari l'anno di
reddito), altri tre chilometri. "La parata si chiude con un certo
numero di colossi alti decine e decine di chilometri".47
A tutto ciò hanno contribuito i sistemi fiscali, visto che ormai "la
politica non solo è incapace di impedire il divaricarsi della forbice
tra ricchissimi e resto della popolazione, ma addirittura lo facilita".
Come nel caso del fisco inglese che permette a una grossa fetta della
nuova ricchezza di non pagare le tasse in patria, a differenza di
quanto avviene negli Stati Uniti. La conclusione dell'autrice sui
processi in atto, che vedono alcuni paesi emergenti correre sempre di
più e i paesi industrializzati impoverirsi nel grosso della
popolazione, è che "la manodopera occidentale diventerà il vero
proletariato del pianeta e le economie dell'Ovest dovranno fare i conti
con il proprio declino. Finirà l'età delle illusioni di massa". Forse
si tratta di un'affermazione troppo pessimista, ma è certo che le
caratteristiche dell'economia canaglia e non solo di quella, proprio
per il fatto che nessuno – allo stato attuale delle politiche, delle
istituzioni e del diritto internazionali - può controllarla, non
lasciano molto spazio alla fiducia nel futuro.
Napoleoni - come caso emblematico di economia canaglia - passa in
rassegna il ruolo della 'ndrangheta partendo dalla sua fucina
criminale, il porto di Gioia Tauro. Ma non saranno ispezioni più
massiccie sui carichi navali (tre milioni di container all'anno), pure
necessarie, a fermare la 'ndrangheta, la quale si è ormai trasformata
in fornitrice globale di servizi per la malavita internazionale,
per cui, come ha testimoniato un agente sotto copertura, essa "oggi è
in grado di offrire ai suoi clienti il pacchetto criminale tutto
incluso, dal contrabbando transoceanico alla gestione del
portafoglio". L'autrice analizza la natura e i mutamenti avvenuti
nell'organizzazione, la quale è stata veloce per tutti gli anni novanta
nel creare joint-venture, dai contrabbandieri dei balcani ai cartelli
della droga sudamericani. A somiglianza di quanto è avvenuto nel mondo
di produrre e nelle organizzazioni aziendali più moderne, essa funziona
come una rete, muovendo capitali, riciclando all'estero i proventi in
imprese coperte dai paradisi fiscali, attraverso l'intermediazione di
onorabili banche svizzere e anche tedesche. Dopo la stretta sui
controlli delle transazioni in dollari introdotta dalle autorità
americane a seguito degli attentati terroristici, l'Europa è diventata
la lavanderia del mondo, perché alle banche europee è permesso
di fare affari con i paradisi fiscali. D'altra parte, i paradisi
fiscali prosperano nel cuore stesso dell'Europa e in stati dell'Unione,
per cui si spiega come mai la questione non è stata regolamentata a
livello europeo. Come se non bastasse, l'introduzione dell'euro ha
ridotto i costi del riciclaggio rendendo ancora più appetibile la
piazza. I dati della Guardia di finanza dicono che dal 2001 al 2004 "il
riciclaggio del denaro in Italia aumenta del 70%".48
Più si estende il potere delle varie organizzazioni criminali nel
mondo, più la funzione di tutela della legalità da parte dello
Stato-nazione diventa problematica, più la politica come libertà di
scelta da parte del cittadino svanisce (Hannah Arendt). Il fatto è che
è proprio la libertà di scelta lo strumento in grado di arrestare il
dilagare dell'ingiustizia economica e sociale, ma "mentre la politica è
ancora trincerata dietro i confini nazionali, l'economia si è
globalizzata e, così facendo, spezza i vincoli delle legislazioni
interne". Nel caso dell'economia canaglia ciò significa averle aperto
vaste praterie per un'attività senza controllo, consentendole di trarre
profitti astronomici che ne rafforzano il potere di ricatto e di
penetrazione.
Siamo a nuovo tribalismo, come lo definisce l'autrice, che limita in
alto e in basso e di fatto la libertà. Per illustrare il concetto,
Napoleoni prende in esame il caso dei mutras, che rappresentano
un esempio di trasformazione di una nomenklatura (quella bulgara) in
organizzazione criminale. Intanto non è vero che l'apparato comunista
sia stato preso di sorpresa dalla caduta del muro di Berlino; il Kgb
aveva già previsto del 1979 il crollo del sistema nel giro di una
decina di anni e le varie nomenclature hanno avuto tutto il tempo di
organizzarsi, di creare compagnie fittizie e di ammassare denaro
all'estero. Nel caso bulgaro, la nascita della mafia nasce da qui, con
fenomeni la cui ampiezza e intreccio con i poteri statali è
impressionante e che investono tutto il processo di destabilizzazione
dell'area dei Balcani. Il contrabbando è diventato l'unico mezzo di
sussistenza per vaste regioni e, ovviamente, quando si parla di
contrabbando non ci si limita alla benzina e ai generi alimentari, ma
si estende al traffico di armi, di droga e alla prostituzione, in un
inestricabile e impressionante intreccio tra affari illegali e legali,
in un vorticoso giro di capitali che rimbalzano nelle reti finanziarie
occidentali e penetrano nelle attività economiche più diverse. Così,
"la violenza ridisegna intere società".
Il caso della Cina e del suo successo economico viene presentato
dall'autrice come una conferma che "nel nuovo mondo dell'economia
canaglia, la politica viene considerata un semplice accessorio
dell'opportunismo commerciale: l'economia ha soppiantato anche l'etica
e la legalità". Dalla liberalizzazione del commercio del sangue
all'inizio degli anni novanta (con conseguente espansione dell'Aids) a
tutti i fenomeni della transizione da un'economia dirigistica a una di
mercato, "più ci si addentra nel territorio vergine dell'arricchimento
cinese più i mercati diventano completamente non regolamentati". Qui ci
troviamo di fronte a un "modello" nuovo, lo stato-mercato totalitario,
con il quale si propone un nuovo contratto sociale: tu sei libero di
arricchirti senza troppi vincoli ma non devi interessarti di politica.
Persino una legislazione minima sul lavoro richiesta spesso dai
fabbricanti occidentali viene considerata un intralcio, perché "la Cina
si considera libera di strutturarsi in base alle circostanze, perfino
in base all'economia canaglia".49 Spesso sono le strategie di marketing
delle multinazionali occidentali a favorire la contraffazione cinese
delle merci, in un sistema in cui la merce vera (la
griffe) è destinata a un consumo di lusso e su quella
contraffatta e pagata pochi centesimi gli importatori guadagnano una
fortuna rivendendola a prezzi molto più bassi a un consumatore che
comunque non può permettersi l'originale. Sembra che la metà degli
articoli falsi in circolazione provenga dalla Cina, un ramo importante
dell'economia canaglia mondiale, ai cui margini prospera il crimine
organizzato. Le Triadi cinesi sono infatti coinvolte sia nel traffico
di manodopera a basso prezzo, sia nell'export-import delle merci
contraffatte e della fornitura di materie prime. I nuovi schiavi della
globalizzazione sono gli immigrati illegali che in gran parte finiscono
nel settore dell'abbigliamento e ai quali i trafficanti trattengono una
quota del salario e requisiscono i documenti di identità che consegnano
al datore di lavoro. A quel punto e finché non ha ripagato il debito
per l'ingresso clandestino nel paese, il lavoratore cinese è alla
completa mercé del datore di lavoro: come nella misera vita della prima
rivoluzione industriale: uomini, donne e bambini. "In Europa, la
maggioranza degli immigrati illegali finisce nel settore
dell'abbigliamento, un'industria da 80 miliardi di dollari l'anno.
Italia e Spagna sono le mete principali insieme a Parigi".50
Il fatto è che la Cina non riconosce la proprietà intellettuale e i
brevetti, ma a sua volta il mondo si è fatto imporre un regime dei
brevetti che definire assurdo e suicida è poco, mentre rispetta ben
poco la proprietà di risorse primarie di paesi scarsamente in grado di
proteggerle. Cos'è la biopirateria? Per le multinazionali del settore è
la contraffazione o la produzione senza brevetto dei loro prodotti,
anche generici. Ma per un'altra parte del mondo è la razzia svolta per
conto di società multinazionali per impadronirsi di organismi biologici
e di principi attivi in Africa, nell'America del sud e in Asia e per
sfruttarli ai fini industriali senza pagare alcunché ai paesi di
origine. Del resto, la Convenzione sulla salvaguardia della
biodiversità della Conferenza dell'ONU di Rio de Janeiro del 1992 è
stata firmata da quasi tutti i paesi del mondo, salvo gli Stati Unititi
e pochi altri. In ogni caso, uno speciale tipo di accordi commerciali
oggi prevalente e che esamineremo più in dettaglio (i Trips),
imposti dal Nord del mondo al Sud, sono accusati di cercare di
legalizzare la biopirateria delle economie più forti.51
Nel caso dei medicinali, la faccenda è particolarmente grave: il
principio attivo di una pianta viene rubato alla medicina
popolare o nella foresta di un paese povero, viene isolato e
riprodotto, viene brevettato e viene rivenduto in tutto il mondo,
compreso il paese di origine, e nel caso di contraffazione viene
protetto dai tribunali. Tanto per fare un solo esempio tra i tanti: una
multinazionale olandese ha brevettato la proprietà di un cereale
etiope, il teff, che rappresenta da millenni l'alimento di base
della popolazione locale. Però, l'Ufficio brevetti americano ha negato
a Addis Abeba la registrazione di alcune varietà di caffè originarie
del paese e utilizzate da una multinazionale americana pagando poco i
coltivatori.
Ma le prede della sindrome da brevetto, che all'attuale livello
parossistico raggiunto finirà, a nostro parere, per uccidere la
conoscenza, non sono solo popoli, aree geografiche, flora e fauna, sono
anche gli esseri umani in quanto tali. Qualche anno fa l'Ufficio
brevetti degli Stati Uniti, dopo lunga discussione, ha permesso la
brevettazione di geni umani, sicché un quinto dei geni del corpo di
ognuno di noi sarebbe già proprietà di qualche azienda. Ogni volta che
il gene brevettato viene usato per ricerche biomediche scatta la
remunerazione al "proprietario", e le tariffe fanno aumentare il costo
della ricerca fino a moltiplicarlo per tre. In poche parole, se
qualcuno di noi cede gratuitamente una sequenza genica del
proprio corpo per finalità di ricerca, il laboratorio dovrà
pagare una somma a un'organizzazione terza che se ne proclama
proprietaria. Sarebbe come dire che una parte dei propri geni
appartiene a una multinazionale. Le parole per definire un tale regime
di proprietà vengono a mancare: ci troviamo di fronte a una nuova forma
di schiavitù biologica, esercitata da tizi in giacca e cravatta,
bene accolti in società, magari ammirati e protetti da qualcosa che ama
presentarsi come legalità.52
Quello che è stato definito il sequestro del vivente rappresenta
una delle minacce più inquietanti dei possibili scenari futuri. É del
tutto evidente come nessun regolamento o accordo commerciale possa
legittimamente legalizzare quelli che sono dei veri e propri atti di
latrocinio, sui quali però prospera una fetta sempre più consistente
del commercio globale. E, guarda caso, scrivono Sachs e Santarius, "nel
caso dei biobrevetti, l'epoca della globalizzazione non ha portato le
deregolamentazione, ma le prime leggi: tramite l'accordo del Wto sui
brevetti si cerca di imporre un sistema approvato universalmente sui
diritti di proprietà intellettuale".53 Tra l'altro, entrando
tranquillamente in contraddizione con i precedenti accordi raggiunti in
ambito Fao sulla biodiversità.
Ma la potente e ramificata industria della falsificazione non si limita
ai casi fin qui descritti. Per esempio, l'attività di contraffazione
dei ricambi per aerei è ugualmente fiorente dopo la deregolamentazione
dei cieli avviata da Carter e da Reagan, che ha portato certo a un
abbassamento delle tariffe, ma anche a una situazione per cui, secondo
una fonte della sicurezza aerea americana, "è più facile morire in un
incidente dovuto a un pezzo contraffatto che non in un attentato
terroristico, eppure il commercio di componenti illegali viene ignorato
dai politici".
In quella vera e propria matrix rappresentata dai mercati
globalizzati le industrie occidentali sono contemporaneamente vittime e
carnefici delle contraffazioni che alimentano il consumismo, ma
nascondendo subdolamente "la vera natura di ciò che consumiamo,
confondendo di continuo la realtà con la finzione". Non è una caso che
vadano tanto di moda i reality show, che addestrano la gente ad
abbassare la propria soglia critica. Ma come funziona questa
matrix del mercato e perché l'autrice sostiene che si tratta, di
fatto della sua faccia funzionale, per cui una parte imponente
dell'economia può essere definita canaglia?
Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità il 10% delle compresse
che circolano nel mondo è contraffatto; tali medicine sono responsabili
della morte di circa mezzo milione di persone, soprattutto nei paesi
poveri, e producono profitti per 32 miliardi di dollari. Nel 1995 i
falsi vaccini hanno ucciso 2.500 bambini, mentre l'autorevole rivista
medica Lancet ha scritto che il 70% dei farmaci contro la malaria in
Africa sono inefficaci. Ma anche il ricco Occidente non ne è esente; a
parte il caso dei tranquillanti contraffatti, il traffico dei falsi
Viagra e Cialis è così remunerativo che renderebbe mezzo milione di
dollari per ogni mille dollari investiti. Tanto per fare un paragone,
l'eroina renderebbe 20.000 dollari per ogni mille investiti.54 Il più
importante produttore di farmaci falsi è la Cina, ma anche il Cile, il
Sudafrica e l'Iraq non scherzano e non scherzano neppure l'India e il
Brasile, anche se spesso invocano il costo troppo alto dei presidi
medici essenziali (farmaci generici) per i paesi più poveri come causa
della loro scesa in campo per produrne a prezzi più bassi. E mentre
alle grandi multinazionali non conviene molto denunciare le
contraffazioni perché ne rovina l'immagine, la protezione elevata di
farmaci, anche generici, da parte di quello che è un vero e proprio
oligopolio induce all'attività di contraffazione i cosiddetti paesi
emergenti. Vedremo più avanti la questione del costo della ricerche
invocate come causa dell'alto costo dei medicinali.
Per individuare meglio quelle che sembrano delle sfocature marginali
della matrix del mercato l'autrice punta la lente di
ingrandimento su alcuni settori e paesi "la cui economia è talmente
intrisa di elementi canaglia che un suo eventuale risanamento
trascinerebbe nel baratro l'intero sistema, mettendo a repentaglio la
sopravvivenza stessa della popolazione". Uno dei casi è l'oro
insanguinato del Congo, che ha le riserve auree più importanti del
mondo, ma anche di altri preziosi nei paesi africani. Nell'area
confinante, l'Uganda, che non possiede giacimenti auriferi, secondo le
statistiche ufficiali nel 2003 ha esportato oro per circa 60 milioni di
dollari. I signori della guerra congolesi si servono di banche
occidentali e di grosse imprese commerciali per coprire la provenienza
dei loro traffici attraverso l'Uganda. Ma, attenzione, ci ricorda
l'autrice, qui non si tratta solo di commercio di metalli e pietre
preziose, perché "oggi la schiavitù ce la ritroviamo un po' ovunque,
anche nel frigorifero".
Secondo i dati dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil-Onu)
nel mondo si contano 27 milioni di schiavi, con profitti annuali che si
aggirano attorno ai 31 miliardi di dollari. Se alla schiavitù
aggiungiamo il lavoro minorile (fascia dai 5 ai17 anni), pari a 218
milioni di bambini (in leggero calo, dati 2004), abbiamo tra il 3 e il
4 per cento di persone che nel mondo sono costrette a un lavoro
forzato, senza contare i milioni di lavoratori impiegati nella
cosiddetta economia informale e privi di qualsiasi assicurazione e
protezione, come anche quelli cosiddetti regolari che però lavorano in
paesi in cui sono negati i più elementari diritti sindacali (di fatto o
per legge), avremmo un quadro impressionante dell'origine di una parte
consistente della prosperità degli altri.55 "Dalla frutta alla carne,
dallo zucchero al caffè, sono gli schiavi che portano il cibo sulla
nostra tavola" – scrive l'autrice.
Ora, senza per questo generalizzare, non c'è dubbio che, specialmente
per alcuni prodotti coloniali (come per esempio il cacao), la raccolta
viene fatta in regime di lavoro forzato, specialmente per quanto
riguarda i minori. Ma bloccarne gli acquisti non risolverebbe il
problema, servirebbe solo ad affamare di più le popolazioni coinvolte,
in assenza di efficaci interventi sostitutivi. Le aziende importatrici
o non sanno o fingono di non conoscere le condizioni in cui vengono
coltivati i prodotti. Sta di fatto che "gli scaffali dei supermercati
occidentali sono pieni di articoli prodotti dagli abitanti dei paesi in
via di sviluppo che percepiscono una frazione infinitesimale del loro
prezzo". L'autrice fa il conto dei ricavi delle banane vendute nei
supermercati inglesi, in cui il 45% va al supermercato, il 18% agli
importatori, il 15,5 % ai proprietari della piantagione (che spesso è
una multinazionale) e il 2,5% ai lavoratori. O come il caso del tabacco
il cui diminuito consumo in Occidente viene ampiamente compensato dai
maggiori consumi in paesi terzi, per cui per ogni fumatore occidentale
in meno ce ne sono tre in più in altre parti del mondo, tanto che se le
compagnie sono state costrette a finanziare le campagne contro il fumo
nei paesi industrializzati, fanno ancora pubblicità in quelli poveri e
invia di sviluppo. Ma vedremo meglio in seguito la questione
dell'andamento dei prezzi delle materie prime negli ultimi decenni, il
cui aumento giunge immediatamente nelle tasche dei consumatori e la cui
diminuzione non lascia traccia in un abbassamento dei prezzi.
In ogni caso, come ci ricordano W. Sachs e T. Santorius, "in quelle
aree del Sud o dell'Est dove governi corrotti o troppo deboli non
adempiono al loro compito di legislatori, alcune imprese approfittano
del loro potere per tenere le regole e gli standard a livelli bassi o
si servono di regimi corrotti per sfruttare materie prime e forza
lavoro a costi risibili, [...] non pochi capitali stranieri vengono
investiti in zone di fatto senza legge".56 Ci pare che anche in questo
caso si debba parlare di economia canaglia e perciò la lista
degli stati canaglia dovrebbe essere sensibilmente modificata e
ampliata, mentre quella delle imprese canaglia dovrebbe
estendersi ben al di là delle attività considerate tradizionalmente
criminali.
Gli altri esempi portati dall'autrice per parlare della matrix
del mercato e delle illusioni alimentari che vengono ampiamente
somministrate attraverso la pubblicità e i marchi sono troppo numerosi
per riportarli qui, ma il risultato finale è che le malattie da errata
alimentazione sono in esponenziale aumento, curate – nella maggior
parte dei casi – con altre illusioni medicali di prodotti lanciati sul
mercato. A parte il blocco lobbystico delle industrie alimentari alla
regolamentazione dei conservanti, che entrano così regolarmente nella
catena alimentare.57
Un capitolo a parte merita l'area del cyberspazio, dal mercato
secondario illegale che utilizza eBay, alla pirateria informatica, alla
pornografia (la maggiore industria online che si stima raggiunga un
volume di affari di 57 miliardi di dollari), al gioco d'azzardo, al
traffico secondario che si appoggia a siti di realtà virtuale e ai
giochi di ruolo, alle correnti truffe online. Ci sono intere cittadine
e regioni che vivono dei traffici illegali in Internet, specialmente
nei paesi dell'est e in Cina, dove si può approfittare della manodopera
a basso costo e con una buona scolarizzazione. Secondo alcune stime,
sembra che circa mezzo milioni di cinesi si guadagni da vivere nelle
attività economiche virtuali, "dai videogiochi ai mondi sintetici".
"Nel cyberuniverso, anche se i mondi sembrano sintetici, le economie
sono molto reali" – osserva Napoleoni – a partire dalla moneta
elettronica, in prevalenza usata, secondo gli analisti del settore, per
i giochi di azzardo e la pornografia. E poiché la territorialità non
può essere applicata nel cyberspazio è proprio lì che fiorisce
l'imprenditoria canaglia, collegata attraverso canali molto coperti a
altre attività magari ai margini della legalità, se non entro la
legalità, in un intreccio senza frontiere. Facciamo un esempio. Una
delle versioni delle email trappola (phising) inviate a nome delle
Poste italiane, con le quali si cerca di estorcere all'ignaro navigante
password e dati personali, si appoggia a un provider americano, ma
attivando il comando proprietà di Outlook Express si scopre che
l'autore scrive in cirillico.
Un altro esempio dirompente della matrix del mercato è
l'anarchia che vige sui mari e sotto i mari. Come nel caso del racket
sul pesce del Baltico gestito dalla mafia russa, che sfora qualsiasi
quota annuale prevista e che trasborda i carichi in navi battenti
bandiere di comodo, magari mongole.58 Ora, la Fao ha calcolato che il
75% delle riserve mondiali di pesce è a rischio, mentre il 25% delle
riserve sono esaurite, ma le stesse società multinazionali che vendono
prodotti congelati ammettono di non essere in grado di controllare la
filiera di produzione e di dire se essi provengono da pesca illegale.
Dove, occorre chiarire, il concetto di legale non è solo collegato allo
sfondamento delle quote di pesca e al mancato rispetto delle acque
territoriali, ma anche al fatto che interi equipaggi stanno in mare per
due e tre anni, specialmente nell'Atlantico ma anche altrove, senza
sbarcare, privati dei documenti personali, tenuti in condizioni
igieniche e con turni di lavoro impossibili e il cui pescato viene
regolarmente prelevato da altre carrette del mare o da modernissime
navi frigorifero per la lavorazione finale e l'immissione sul mercato.
Insomma, un'altra condizione lavorativa di semischiavitù, se non di
vera e propria schiavitù, che sembra sia soprattutto praticata dalle
navi che debbono rifornire l'enorme mercato cinese, molto spesso a cura
della Triade. Ma il cuore della pesca canaglia è l'Europa, dove quasi
tutto il pesce di frodo pescato (400 mila tonnellate l'anno) passa per
le Canarie per essere poi smistato in tutto il mondo. Per il
quadrilatero mediterraneo che comprende Spagna, Francia, Italia e Libia
sono la mafia marsigliese e quella siciliana a curare le triangolazioni
e i trasbordi di pescato, così da rendere difficile individuarne la
provenienza.
Inoltre, c'è un'affinità tra la finzione del ritorno della moda dei
pirati, dovuta all'industria cinematografica, e la realtà. La pirateria
sui mari, quella vera, moderna e perfettamente organizzata, sarebbe
cresciuta del 168% nell'ultimo decennio. Il grosso del bottino proviene
dall'Asia con guadagni stimati di circa 16 miliardi di dollari. Il
fatto è che "spesso i pirati lavorano direttamente con compagnie
regolari che operano in paesi dove la lotta alla pirateria non esiste",
come nel caso della Cina o della Birmania. La merce razziata si vende
in contanti e viene distribuita in tutto il mondo; nessuno fa domande
sulla sua provenienza.
L'anarchia sotto il mare è ancora più impressionante. A parte
l'inquinamento dovuto alle discariche e ai fiumi che producono morie e
mutamenti genetici nei pesci, ci sono ovviamente i disastri procurati
dalle petroliere e dalle perdite dei pozzi petroliferi offshore,
ma anche gli antibiotici somministrati nei vivai e l'inabissamento
illegale, spesso gestito da organizzazioni criminali in collegamento
con governi e multinazionali, di rifiuti tossici.59 Insomma, anche "il
caos che domina i mari porta la firma dell'economia canaglia".
Ma l'economia canaglia e i conseguenti disastri non sono stati
alimentati soltanto da un'economia privata alla ricerca di un profitto
senza regole. Il caso degli aiuti dei paesi industrializzati ai paesi
più poveri e la storia delle politiche fino ad oggi adottate stanno a
dimostrare come spesso, per capire come mai siano esplose tragedie e
carneficine locali, sia necessario rivolgersi al nord America e
all'Europa. Esamineremo in un successivo percorso i meccanismi e le
regole ineguali vigenti nel commercio internazionale, qui prendiamo in
esame con l'autrice solo l'aspetto dei rapporti finanziari tra stati,
per cui "storicamente gli aiuti stranieri all'Africa si rivelano una
forza canaglia che finanzia soprattutto il terrorismo". Per esempio,
nei noti casi dell'Etiopia, della Somalia (paesi in cui è stata
coinvolta pesantemente anche l'Italia) e del Sudan i soldi trasferiti
sono serviti in parte (come in tutti gli altri casi) a finanziare le
forniture di aziende occidentali e in parte ad armare e a rendere
ricchi gruppi armati locali, e a volte feroci dittature. Se gli
standard internazionali dicono che circa il 5% degli aiuti vengono
dispersi e utilizzati per tutt'altro fine dell'aiuto alle popolazioni
(arricchimento dei potentati locali e armamenti), nel caso dell'Africa
tale percentuale sale realisticamente al 20%, quando non va oltre.
Napoleoni è molto severa anche nel giudizio dato sulle periodiche
campagne promosse da noti personaggi del mondo dello spettacolo a
favore dei paesi più poveri, documentando i casi in cui i soldi
impiegati sono soprattutto serviti a alimentare le guerre civili e
tribali e hanno aggravato i problemi economici preesistenti. L'economia
canaglia si impadronisce facilmente delle risorse prima che pervengano
alle popolazioni interessate o subito dopo. Invece di "lavarsi la
coscienza" con le donazioni private e pubbliche sarebbe molto più
saggio, attraverso iniziative mirate, incoraggiare l'autogoverno e la
capacità di crescita delle economie locali, responsabilizzare le
popolazioni e saltare la intermediazione delle autorità. Così come
sarebbero davvero più efficaci regolamenti commerciali che non
favoriscano i paesi più ricchi (ne vedremo in seguito alcuni
meccanismi) e sostenere politiche commerciali che diminuiscano i dazi.
Se molti leader africani, piuttosto che il sostegno finanziario,
chiedono il trasferimento di tecnologie e l'adozione di regimi
commerciali più equi è anche perché alcuni economisti hanno dimostrato
che "per ogni dollaro che raggiunge il continente tre restano nel paese
di origine". I meccanismi economici sono tali che "più un paese riceve
denaro più sprofonda nella povertà", come nel caso del Kenya e della
Tanzania, mentre più gli si consente di valorizzare le risorse
domestiche più cresce il reddito, come nel caso del Botswana.
Anche la politica del terrore ha due risvolti, quello della minaccia
reale del terrorismo e quello della politica della paura adottata da
molti governi occidentali per fini che non hanno nulla a che fare con
la sicurezza dei cittadini, se non quella di una sicurezza
strategica dei rapporti di forza esistenti (controllo delle risorse
di paesi terzi, perpetuazione del predominio e dell'assenza di regole
condivise, consenso e controllo della popolazione interna). Per quanto
riguarda il primo risvolto, "la probabilità che americani ed europei
cadano vittime di un attentato terroristico internazionale – scrive
l'autrice sulla scorta di studi specialistici – erano maggiori nel
passato". Cioè, dagli anni ottanta del secolo scorso, con l'eccezione
dell'11 settembre. Non solo le statistiche stanno lì a dimostrarlo, ma
anche le contromisure adottate, specialmente nel caso del traffico
aereo, sono solo polvere negli occhi (peraltro costosissima per
l'economia), perché la difesa dei reali punti deboli del sistema che i
terroristi potrebbero prendere di mira sono troppo costosi per essere
protetti. La manipolazione delle cifre e degli allarmi da parte dei
politici, specialmente americani e inglesi è continua.60 Eppure, è
stato il senatore americano John McCain a dichiarare: "provate a
calcolare la probabilità di essere feriti da una terrorista. È più
facile essere trasportati al largo da una mareggiata". Per l'autrice,
la causa dell'esasperazione della paura e delle politiche per
alimentarla è dovuta all'emergere di una nuova realtà geopolitica: lo
stato-mercato che si è sostituito allo stato-nazione a seguito del
processo di globalizzazione, dove lo stato-mercato è "uno stato in sé
quasi interamente spogliato dalla politica". Il processo ha travolto le
tradizionali posizioni sia di destra sia di sinistra e mentre il
capitale si muove ormai globalmente "la manodopera occidentale rimane
immobile". Anzi, come abbiamo visto, viene spiazzata da un mercato del
lavoro divenuto globale. Uno stato, per esistere deve "affrontare un
doppio problema: uno di razionalità e uno di legittimità". La risposta
finora formulata dalle élites politiche occidentali è il populismo e la
creazione di mitologie artificiali. Qui il ragionamento dell'autrice si
addentra in considerazioni sociologiche e nei casi politici
internazionalmente più noti che sarebbe troppo lungo riportare, ma li
classifica come esempi di creazione di un nuovo tribalismo,
categoria che le serve per spiegare alcuni fenomeni di comportamento
politico- sociale.
Una esauriente descrizione della vita che si svolge nei barrios
o slums delle varie parti del mondo è illuminante.61 In tutti i
casi il controllo del territorio è fondamentale. Le maras o
pandillas, nella California meridionale, come la Mara 18
di Los Angeles - nate per proteggere gli ispanici da altre bande
etniche e poi trapiantate nel Centro America a seguito delle espulsioni
di massa ordinate dal governo americano agli inizi degli anni novanta -
hanno preso il controllo delle baraccopoli annacquando la loro
fisionomia etnica originaria e diventando bande criminali
transnazionali collegate ai signori della droga. Oggi controllano in
modo predatorio gli abitanti dei barrios, con gli stessi
connotati della 'ngrangheta e della mafia bulgara. Sull'altra sponda
dell'Atlantico, in Nigeria, gli Area Boys hanno una estensione
simile, taglieggiando con tasse stradali gli automobilisti. Ma la
proliferazione delle bande colpisce anche tutti i quartieri periferici
delle grandi città occidentali. Sono le condizioni di vita di queste
zone e l'incapacità o l'indifferenza di quello che l'autrice chiama lo
stato-mercato a permettere che "le famiglie a basso reddito finiscano
per pagare migliaia di dollari in più rispetto a quelle ad alto reddito
per fare fronte alle esigenze quotidiane, per il solo fatto di essere
povere e vivere nei ghetti". Le bande giovanili, nelle quali si entra
per paura e per difendersi, costituiscono un universo chiuso dotato di
regole proprie e di un fortissimo connotato territoriale, e dalle quali
è possibile uscire solo da morti. Per non tacere del fatto che in un
recentissimo rapporto presentato all'Organizzazione mondiale della
sanità (Oms), si documenta che essere poveri un una città ricca
significa vivere vent'anni di meno, anche nel ricco Nord, come nel caso
di Glasgow. Se in tutto il mondo venissero raggiunti gli standard di
mortalità infantile dell'Islanda, 6,6 milioni di bambini nel mondo
eviterebbero la morte.62
C'è qui un richiamo a forme di esistenza e di psicologia di massa come
sottoprodotto e modello degradato a un livello inferiore di potenza, ma
non per questo meno inquietante, che cercano nelle identità,
inventate o ancestrali che siano, un collante forte nei vari segmenti
sociali e territoriali. Tuttavia, si tratta di un atteggiamento per
molti versi mutuato dal vivere solo nel presente, le cui radici
stanno nelle modalità funzionali del turbocapitalismo. Infatti, "il
confronto quotidiano con la morte induce i membri delle bande a vivere
alla giornata, nel momento e per il momento. La modellizzazione
politica occidentale è a loro del tutto estranea, ma sono molto vicini
al concetto cinese per cui niente è permanente e tutto è immediato. Un
universo in cui il presente è l'unica dimensione esistenziale
dell'individuo". Queste parole riecheggiano gli allarmi di Aldo
Schiavone richiamati all'inizio dei nostri itinerari di lettura.
L'autrice compie un rapido excursus storico sulla nascita e sul
riemergere nell'era della globalizzazione del tribalismo, cioè
sulla rinascita di società chiuse in opposizione e come difesa dai
pericoli e dalla incomprensibilità delle minacce esterne. Usa un
concetto estensivo di tribalismo moderno, il quale sembrerebbe "in
grado di nascere da tutto ciò che accomuna un gruppo di persone, dalla
musica allo sport, dalla religione alla criminalità. Gli ingredienti
necessari sono l'economia canaglia, la globalizzazione e i potenti miti
attorno a cui creare l'identità della moderna tribù", come nel caso del
calcio. Si tratta di una riflessione che avrebbe forse richiesto una
trattazione ben più estesa, articolata e antropologicamente motivata,
ma fa certamente pensare il fatto che questi fenomeni abbiano trovato
una nuova vitalità in estranea opposizione alla formazione di una
fascia di popolazione cosmopolita presente in quasi tutti i paesi, ben
inserita nel processo di globalizzazione, e tendente agli stessi gusti
e a un medesimo stile di vita. Una specie di neotribalismo
anch'esso.
Ciò che lascia perplessi è il passaggio, abbastanza repentino, che
l'autrice compie dal tema del tribalismo come sottoprodotto della
globalizzazione all'apprezzamento della finanza islamica, informata ai
principi della sharia, come una delle possibilità di riscatto
del mondo futuro da una globalizzazione iniqua. "Ogni prodotto
finanziario di tipo occidentale ha il suo corrispettivo islamico:
microfinanza, mutui, investimenti di petrolio e gas, costruzione di
ponti, perfino la sponsorizzazione di eventi sportivi può essere
strutturata nel rispetto della sharia (legge islamica)".
Iniziata dopo la metà del secolo scorso, oggi essa è attiva in settanta
paesi e movimenta un valore di circa 500 miliardi di dollari.
Ma in cosa consisterebbe la sua ispirazione ai principi dell'islamismo?
Intanto, segue il principio comunitario islamico – e perciò neotribale,
secondo la stessa definizione dell'autrice – in quanto si rivolge alla
umma, cioè alla comunità dei credenti che "respira, pensa e prega
all'unisono". Inoltre, proprio partendo dalla tradizione musulmana,
cerca di impostare una "condivisione del rischio" tra creditore e
debitore costituendo tra loro una forma di società e immettendo nel
rapporto economico una forte componente sociale. Il suo codice etico,
infine, incorpora alcune prescrizioni religiose per cui sono vietati
investimenti "nella pornografia, nella prostituzione, nei narcotici,
nel tabacco e nel gioco d'azzardo", oltre che gli investimento
meramente speculativi. In sostanza, tutte quelle attività che
rappresentano la base più consistente dell'economia canaglia. Perciò,
secondo l'autrice, la finanza islamica sarebbe l'unica "vera forza
globale che si oppone attivamente agli imprenditori dell'economia
canaglia". Per essere commerciato, un prodotto finanziario islamico ha
bisogno di essere corredato di una fatwa religiosa che ne
certifichi la rispondenza ai principi etici. Il fenomeno ha avuto
un'accelerazione allorquando la Malesia, probabilmente ammaestrata dai
disastri compiuti in Russia e altrove dal Fondo monetario
internazionale, rifiutò le sue ricette per uscire dalla crisi e si
appellò al popolo musulmano di tutti i paesi perché la sostenessero con
la loro solidarietà e con un mercato obbligazionario parallelo
alimentato dalla finanza dei paesi musulmani più ricchi. Di fatto, la
Malesia uscì dalla crisi a dispetto di tutte le previsioni dei
tecnocrati e delle borse occidentali.
Sullo sfondo, espressamente teorizzato o tacitamente sottinteso, c'è il
mito della ricostituzione del califfato musulmano, con il meccanismo
dell'economia che farebbe da battistrada anche ad un altro mito
proveniente dalla memoria storica islamica: l'adozione del dinaro d'oro
come mezzo transnazionale di pagamento non soggetto al dominio di
Washington e occidentale, in quanto ancorato all'oro. In questa
direzione c'è già stato un concreto tentativo promosso dalla stessa
Malesia, naufragato per l'opposizione degli Stati Uniti.63
Ora, la nozione di economia canaglia fin qui efficacemente illustrata
dall'autrice ha purtroppo un raggio di applicazione ben più ampio del
codice etico islamico di cui sopra; e, per quanto esso sia eticamente
apprezzabile, non ci sembra davvero in grado di contrastarla e di
offrire un'alternativa credibile alla correzione degli suoi aspetti
ripugnanti e ingiusti. Tanto per fare qualche esempio, non sembra
proprio che la finanza islamica sia più razionale del turbocapitalismo
nei suoi rapporti con l'ambiente o nella politica internazionale o nel
trattamento dei diritti umani e di chi lavora.64
Il tribalismo moderno di cui parla Napoleoni è senz'altro una forma di
"reazione naturale di autodifesa degli abitanti del villaggio globale
all'economia canaglia". Ma, per quel che ne sappiamo, nessuna forma di
tribalismo è in grado di contrastare davvero comportamenti considerati
devianti, se non a spese dell'autonomia e della dignità della persona.
È una ennesima forma di comunitarismo che ben presto diviene coatto
restringendo in una gabbia di ferro di usi, credenze e comportamenti la
libertà di pensiero e anche quella personale, senza risolvere i
problemi dell'equità e della giustizia.
* Rimane perciò aperta la questione della radicale
transizione-mutazione in corso e dei suoi esiti. Converrà approfondirla
a partire da più dettagliati saggi sull'attuale situazione ambientale e
del mercato. Se, come abbiamo detto, si può nutrire fiducia nelle
prospettive umane a lungo termine, ciò che è più oscuro e di difficile
soluzione è il meccanismo e il passaggio attraverso i quali la specie
umana potrà superare una crisi evolutiva senza precedenti nella memoria
storica, ma ben presenti nella storia dell'evoluzione. E qui, il
pessimismo ha molte ragioni per convivere con l'ottimismo di
prospettiva, perché è possibile che sia troppo tardi, anche per i
timidi tentativi di controllare o rallentare i mutamenti climatici in
atto e per evitare il collasso, come vedremo con i prossimi libri.
Per i testi citati in questi primi tre percorsi, vedi nelle note; i
testi recensiti sono:
continua nel prossimo Labirinto
NOTE:
1 Luca Francesco Cavalli-Sforza,
Evoluzione, un futuro complicato, in la Repubblica,
16 luglio 2008. 2 Vedi § 2. La mercatizzazione del mondo in questo
Labirinto.
3 La questione è soprattutto affrontata nel libro di Stuart Kauffman,
Esplorazioni evolutive, Torino, Einaudi, 2005, pp. 377, di
cui riparleremo.
4 Vedi § 8. Il destino dell’umanità in un prossimo Labirinto.
5 In W. Sachs e T. Santarius, vedi § 5. Conflitti per l’equità in un
prossimo Labirinto.
6 In W. Sachs e T. Santarius, vedi § 5. Conflitti per l’equità in un
prossimo Labirinto.
7 Amartya Sen, Identità e violenza, Roma-Bari, Laterza, 2006,
pp. 221; discusso nel precedente Labirinto III. Il trono, l’altare e
al-minbar, ottavo percorso: la questione
dell’identità.
8 Vedi il § 6. Sviluppo vs decrescita? in un prossimo Labirinto.
9 Vedi § 5. Conflitti per l’equità in un prossimo Labirinto.
10 Vedi § 5. Conflitti per l’equità in un prossimo Labirinto.
11 Guido Rossi,
Così il supercapitalismo uccide la democrazia, su la
Repubblica dell’8 maggio 2008, a commento del libro di Robert
Reich,
Supercapita lismo. Come cambia l’economia globale e i
rischi per la democrazia, Roma, Fazi, 2008, pp. 317. Ma, osserva
Rossi, il pur apprezzabile libro di Reich "tradisce il difetto di certa
cultura americana, in base alla quale le crisi finanziarie sono delle
malattie temporanee che in qualche modo si risolvono. Di conseguenza il
sistema americano non è non può essere oggetto di discussione, perché è
il solo che può garantire sviluppo economico e globalizzazione". Nel
libro, continua Rossi, è quasi del tutto assente il riferimento
all’attuale capitalismo finanziario, che pure rappresenta la novità
dirompente della fase attuale; inoltre, Reich sembra concentrare la
propria attenzione "solo sulla concorrenza sfrenata che ognuno di noi
vuole come consumatore", senza mettere a fuoco il ruolo delle grandi
Corporations e della stessa struttura dei mercati.
12 Vedi § 6. Sviluppo vs decrescita? in un prossimo Labirinto.
13 E. Bloch, Il principio speranza, Milano, Garzanti, 2005, pp. 1618.
14 Vedi § 7. Il destino dell’umanità in un prossimo Labirinto.
15 Vedi § 3. L’altra faccia dell’economia in questo Labirinto.
16 Delle rivendicazioni di una parte del cattolicesimo democratico
sulla funzione del cattolicesimo come levatrice del capitalismo, in
polemica con la classica interpretazione weberiana (peraltro, anch’essa
inattendibile), vedi il cap. 13 La Chiesa e la modernità del mio
libro Religione
e no, edito nel 2008 anche su Lulu.com in formato .pdf;
presentazione in Lupo
della steppa.
17 Dopo la metà del Seicento l’Olanda era riuscita ad armare una flotta
"di seimila velieri, con 600 mila tonnellate di carico e 48 mila
marinai" e offriva servizi nautici agli spagnoli per trasportare
l’argento che serviva loro per la guerra nelle Fiandre.
18 Per non tacere che con l’Inquisizione e la Controriforma del
Concilio di Trento la Chiesa ha stroncato la libertà di pensiero e di
ricerca in Italia, spegnendo il lume della discussione e della scienza,
con effetti che si avvertono ancora. Del resto, già da tempo la Chiesa
considerava la nascente borghesia un "classe sovversiva e tutta
impastata di desideri peccaminosi e di idee eretiche che dilatando -
con la sua bramosa ricerca di guadagni e di piaceri mondani – la
sfera del secolo, lavorava di fatto a estendere il regno di
Satana". [L. Pellicani,
Le radici pagane dell’Europa, Soveria Mannelli, Rubbettino,
2007, pp. 212]. Lo citiamo non per polemica pregiudiziale ma perché in
alcuni degli attuali filoni terzomondisti e di critica ambientalista,
come vedremo più avanti, risuona talvolta l’eco di quelle antiche
maledizioni.
19 Sui ruggenti anni novanta, vedi anche il libro di J. E Stiglitz, I
ruggenti anni Novanta. Lo scandalo della finanza e il futuro dell'economia, [recensione].
20 E. D. Beinocker,
The Origin of Wealth: Evolution, Complexity, and the Radical Remaking of Economics, Harvard Business School Press,
Boston, 2006: rielaborazione dell’autore.
21 J. E. Stiglitz riporta un giudizio ancora più severo sugli effetti
di impoverimento della globalizzazione. Vedi § 7 Riformare la
globalizzazione in un prossimo Labirinto.
22 Si trattava di Carlo Callieri, nel suo dialogo con Bruno Trentin,
Il lavoro possibile. Prospettive di inizio millennio,
Torino, Rosemberg&Sellier, 1997, pp. 92.
23 Su questo punto è ancora valido il vecchio saggio di un democratico
liberale come Robert A. Dahl, La democrazia economica, Bologna, il
Mulino, 1989, pp. 146 [recensione]
24 Bruno Trentin,
La città del lavoro. Sinistra e crisi del fordismo, Milano,
Feltrinelli, 1997, pp. 270.
25 Vedi § 3. L’altra faccia dell’economia in questo Labirinto.
26 Su questi temi vedi anche gli articoli su steppa.net che Ornella
Cilona viene scrivendo.
27 Andrebbe esaminato anche il caso italiano, nel quale, favorito da un
mancato governo dell’ingresso nell’euro oltre che dai processi accaduti
negli altri paesi, si è verificato negli ultimi decenni un gigantesco
trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto, che ancora continua,
con uno spostamento sensibile verso le professioni e le attività in
grado di formare un prezzo libero. Si tratta del problema di fondo
italiano, ossia della potenza di quegli interessi corporativi che
tengono alta l’inflazione nei settori della distribuzione e dei
servizi, deprimendo il potere d’acquisto di salari e pensioni. Se
l’incremento di produttività in Italia è stato inferiore a quello
avvenuto in altri paesi (in particolare, nel periodo 1998 – 2007), ciò
è dovuto soprattutto all’assenza di investimenti innovativi, come è
documentato da tutte le rilevazioni, specialmente nel campo della
ricerca scientifica, quale che sia stato il governo al potere. In ogni
caso, nel periodo 1993 – 2006 l’incremento di produttività è stato del
16,7%, ma l’87% è andato alle imprese e al lavoro solo il 2%.
Nell’ambito di questo scarso 2% una quota assai elevata, poi, è andata
ai quadri e ai dirigenti. Il Rapporto Ires 2007 documenta che nel
periodo 2002 – 2007 la retribuzione dei dirigenti ha registrato 6 punti
in più rispetto al lavoro dipendente. Anche in questo campo c’è stato
quindi un effetto di ridistribuzione verso l’alto. "Tutto questo ha
portato ad una situazione che vede il nostro paese registrare delle
retribuzioni medie più basse di quelle degli altri maggiori paesi
europei" - continua il rapporto dell’Ires. Naturalmente, si continua a
invocare la competitività come il problema centrale per tenere i salari
a livelli minimi, con l’effetto di deprimere il mercato interno oltre
al tenore di vita di fasce sempre più estese di popolazione. In genere,
l’imputato sono le ore lavorate (vedi gli ultimi provvedimenti
governativi sulla detassazione degli straordinari che puntano proprio
su questo problema) e il differenziale rispetto agli Stati Uniti. Ma,
ha chiarito l’economista Tito Boeri nell’articolo Europei
oziosi? che "nel complesso, i dati suggeriscono che la ragione
principale per cui gli europei lavorano meno degli americani è che
molte persone in Europa non lavorano affatto. Certo, il
lavoratore medio europeo ha una settimana lavorativa più breve – e meno
settimane lavorative in un anno – dei colleghi americani. Ma questo non
è il fattore più importante". Mentre invece la presenza dell’Italia sui
mercati esteri non è affatto depressa pur rimanendo confinata in
produzioni a non elevato livello tecnologico e con una frammentazione
imprenditoriale che è il suo più evidente punto debole. Che la cose
stiano così è documentato dall’ultimo indice TPI (Trade Performance
Index) elaborato dall’ONU e dal WTO, per cui la competitività
italiana è seconda nel mondo solo a quella tedesca. Insomma, agli alti
profitti degli ultimi anni, si risponde non con l’incremento dei
salari, ma con gli alleggerimenti fiscali (naturalmente usufruiti di
nuovo anche dal capitale, e assai parzialmente dal lavoro). Il che
significa che questa manovra è pagata da tutta la cittadinanza invece
che dal capitale, al prezzo di una diminuzione dei servizi e delle
prestazioni. In buona sostanza, si tratta di un’ulteriore trasferimento
di ricchezza dal basso verso l’alto. La cosa impressionante è che non
appaiono linee di politica economica capaci di proporre un mutamento di
tendenza, nemmeno nell’opposizione: anche in questo caso si tende a
ridurre tutta la questione a un problema principalmente fiscale invece
che strutturale.
28 La candidatura di Barak Obama negli Usa non scioglie ancora, nella
sostanza, il bloccaggio della società americana. Anche in Italia,
l’eredità della provenienza sociale pesa come un macigno sulla
possibilità di ascesa dei ceti con condizioni di partenza meno
favorite, ragione tra le principali per cui il nostro paese di presenta
come imbalsamato, scarsamente capace di innovazione e di fiducia nel
futuro. Tutte le battaglie finora fatte per introdurre una modifica del
welfare state per metterlo in condizioni di favorire
l’uguaglianza delle opportunità di partenza, a partire dal diritto allo
studio, hanno ottenuto scarsi risultati.
29 Vedi § 7. Riformare la globalizzazione in un prossimo Labirinto.
30 In L. Napoleoni, Economia canaglia, vedi § 3 L’altra faccia
dell’economia in questo Labirinto. L’altra faccia dell’economia in
questo Labirinto. Per quanto riguarda l’Italia, sono note le denunce
sui livelli retributivi della cosiddetta casta sommersa, nella polemica
sulla casta politica, la quale ultima avrebbe livelli
retributivi più o meno comparabili con quelli degli altri paesi
industrializzati ma con alti livelli di corruzione, mentre gruppi alti
dirigenti pubblici e anche privati e migliaia di consulenti spesso
sfondano i tetti dei livelli fissati negli stessi Stati Uniti,
particolarmente in campo pubblico. Ma qui si aprirebbe un tema di
analisi troppo vasto per il contesto di questo Labirinto.
31 G. Ruffolo,
Padroni stile padrini, L’Espresso del 24 luglio 2008.
Per il libro di R. Reich, vedi nota precedente; l’altro libro citato
nell’articolo è di Kelvin Phillips,
Ricchezza e democrazia. Una storia politica del
capitalismo americano, Milano, Garzanti, 2005, pp. 682. Per
l’Italia, basta ricordare i casi della Parmalat, della Cirio e dei bond
argentini, per poter parlare della nuova figura sociale del
"risparmiatore truffato", nel senso che si tratta di un fenomeno di
massa.
32 Per non tacere dei fallimenti di alcuni manager di società pubbliche
italiane, costati milioni di euro alla collettività e ricompensati con
ricchi stipendi e liquidazioni. Come nel caso dell’Alitalia i cui costi
ora verranno pagati dai risparmiatori e comunque da soldi pubblici.
33 Chi ha parlato di rapina a mano armata, nel caso della Enron,
è stato Arthur Lewis, per anni direttore dell’organo di vigilanza
americano sulla borsa. Ma almeno negli USA è stata subito adottata una
legislazione più restrittiva, mentre nel caso italiano si è
depenalizzato il falso in bilancio, che è come invitare gli
amministratori a imbrogliare i risparmiatori.
34 Per l’economista Nouriel Roubini, "la devastante crisi finanziaria
che, associata a quella economica, minaccia di mettere in ginocchio
interi continenti e di modificare per sempre il nostro modo di vivere,
ha cause precise che possono essere sinteticamente elencate: un modello
di business basato sul cosiddetto originate and distribute
(creare [prodotti finanziari complessi] per poi rivenderli
immediatamente a qualcun altro) - ossia la versione di lusso del gioco
del cerino acceso". [da altrenotizie.org]
35 Vedi § 6. Sviluppo vs decrescita? in un prossimo Labirinto.
36 Vale la pena di precisare che la nozione di classe media utilizzata
in Italia è molto più approssimativa della nozione americana, dove per
classe media si intende il lavoro salariato, ossia subordinato, ma
stabile.
37 Per alcuni altri aspetti del fenomeno, per esempio in Cina, si veda
il libro di Federico Rampini, L’impero di
Cindia, Cina, India e dintorni: la superpotenza asiatica da
tre miliardi e mezzo di persone [recensione] e anche, per un
panoramica più generale sul continente Cina, il libro di Renata Pisu,
Cina. Il
drago rampante. Tra modernità e tradizione un paese alla
ricerca di una nuova identità [recensione].
38 Alla fine del 2007, a Bali è stato raggiunto un inaspettato accordo
per discutere un nuovo protocollo di Kyoto (Kyoto II), che è in corso
di elaborazione, che dovrà essere sottoscritto nel 2009 durante il
meeting di Copenhagen e che dovrà essere vincolante a partire dal 2013.
La novità consiste nella retromarcia di Washington, che all’ultimo
momento ha sottoscritto l’accordo dopo essersi opposta e nella
estensione del protocollo anche ai Paesi in via di sviluppo, nel
passato esclusi dagli obblighi di Kyoto. Non è stato fissato alcun
limite preliminare alle emissioni nocive, ma si è trovato un accordo
per costituire un Fondo di adattamento per aiutare i Paesi più poveri;
per dare appoggio tecnologico e finanziario ai paesi in via di
sviluppo, in modo da aiutarli a ridurre le emissioni di gas
responsabili dall'effetto serra; per riconoscere degli indennizzi ai
paesi poveri per la tutela del proprio patrimonio boschivo.
39 Vedi § 6. Sviluppo vs decrescita? in un prossimo Labirinto.
40 Immaginiamo che Ruffolo si riferisca soprattutto al libro di Umberto
Galimberti, Psiche e techne, Milano Feltrinelli, 2000, pp. 812, al
quale, come ad altre opere consimili, sarà opportuno dedicare prima o
poi un Labirinto.
41 J. E. Stiglitz, vedi § 7 Riformare la globalizzazione in un prossimo
Labirinto.
42 In questo stesso sito, vedi una più breve recensione
del libro di Loretta Napoleoni.
43 Per esempio, la mafia libanese controlla la prostituzione a Berlino
e Amburgo, il PKK curdo la controlla a Colonia, e naturalmente si
potrebbe continuare con vari paesi e città.
44 Gli hedge funds sono fondi speculativi, all’origine della
gran parte delle bolle finanziarie (una delle attività correnti è la
vendita allo scoperto, scommettendo su futuri ribassi); i private
equity sono fondi di investimento che, magari attraverso
l’accensione di debiti, rilevano aziende non per gestirle ma per
venderle, anche in parti separate (lo spezzatino) ripagandosi
dell’acquisto e lucrando un profitto. Qualcosa di molto simile sta
avvenendo per l’Alitalia. 45 Vedi § 7. Riformare la globalizzazione in
un prossimo Labirinto.
46 Citato da E. Warren e A. Warren Tyagi,
The Two-Income Trap: Why Middle-Class Mothers and Fathers are Going
Broke, New York, Basic Book, 2004. Secondo le autrici il 90%
dei fallimenti riguarda il ceto medio.
47 Il libro di Jan Pen è del 1971, ma da allora la situazione è
sensibilmente peggiorata con una polarizzazione sociale ancora più
accentuata, per cui l’ultima frazione di sfilanti raggiungerebbe
altezze ancora maggiori.
48 Nel 2001 il Governo italiano emanò il decreto per il rientro dei
capitali dall’estero. Forse sono anche i traffici loschi che hanno
concorso a spingere tanto in alto il valore dell’euro.
49 Però il caso della Cina andrebbe meglio approfondito, altrimenti non
si possono spiegare molti dei fenomeni apparentemente nuovi che sembra
produrre. Ne riparleremo nel corso del § 6 Sviluppo vs decrescita? in
un prossimo Labirinto.
50 Magari, una lettura del libro di Roberto Saviano,
Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di
dominio della camorra, Milano, Mondadori, 2006, pp. 331, anche per
queste ragioni, sarebbe bene farla. Ci si rende bene conto dei legami
diretti e indiretti che legano le griffe alle varie gradazioni
del lavoro di subappalto e del contesto sociale in cui prosperano
questi fenomeni. Vedi anche la recensione di
Giovanna Corchia del libro su questo stesso sito.
51 Vedi § 7. Riformare la globalizzazione in un prossimo Labirinto, nel
quale torneremo anche sulla questione dei brevetti.
52 Ci si sarebbe aspettato che di fronte ad una simile barbarie la
Chiesa, che non esita a intervenire di continuo sulle questioni del
corpo, considerandolo proprietà di Dio e non personale, avesse
scatenato sulla questione una battaglia senza quartiere. Non ci pare
che si sia andati molto al di là di qualche tiepida condanna. Sul tema
del commercio biologico si può vedere J. Rifkin,
Il secolo biotech. Il commercio genetico e l’inizio di
una nuova era, Roma, Baldini, Castoldi, Dalai, 2003, pp. 382, in
cui sono riportati molti casi, anche di controversie legali, relativi
alla brevettazione dei geni. 53 Vedi § 5. Conflitti per l’equità in un
prossimo Labirinto.
54 Dati tratti dal libro di Riccardo Staglianò,
L’impero dei falsi, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp., 204.
55 Sui problemi del lavoro in relazione alla globalizzazione e al
rispetto dei diritti umani e sindacali, si veda il Rapporto del
2006 (annuale) sulla violazione dei diritti internazionali a
cura della Cisl internazionale. Secondo il rapporto 2008, dell’Oil,
sulle
Tendenze mondiali dell’impiego il 49,9% degli impieghi nel
mondo sono vulnerabili, ossia non godono di nessuna protezione
sociale e sono del tutto privi di reti di sicurezza. In questa
percentuale non sono compresi i disoccupati e i lavoratori sottopagati
o in nero. La parte preponderante di tali lavoratori è al di fuori
delle economie sviluppate. 56 Vedi § 5. Conflitti per l’equità in un
prossimo Labirinto.
57 Una curiosità, per definirla così. "Gli addetti all’obitorio di
Londra dichiarano che la decomposizione dei cadaveri è rallentata
dall’alta percentuale di conservanti ingeriti".
58 Questo è davvero un altro caso, ma non è il solo, dell’assurdità
degli attuali assetti e regolamenti internazionali. La Mongolia, che
come è noto è piuttosto lontana dal mare, possiede sulla carta una
flotta mercantile superiore a quella dell’Australia.
59 "Almeno il 47 per cento delle scorie europee è tossico, come i
rifiuti elettronici, dai vecchi computer ai cellulari rotti". I rifiuti
vengono suddivisi in riciclabili e non riciclabili; i primi finiscono
in Cina e India, i secondi in Africa (Nigeria e Somalia), "la discarica
del mondo". Alcuni autori hanno calcolato che ogni anno almeno
cinquecento navi fanno rotta verso la Nigeria cariche di materiali
tossici. I pirati (non si possono che definire così), approfittando
della scarsa sorveglianza e delle carenze o dell’inesistenza di un
governo centrale, scaricano i rifiuti nel mare circostante, quando non
anche a terra.
60 Di Loretta Napoleoni e Bee G. Ronald, è recentemente uscito un libro
specifico sull’argomento I numeri del terrore. Perché non dobbiamo avere
paura, Milano, il Saggiatore, 2008, pp 143, nel quale, sulla scorta
dei dati statistici ufficiali, si ribadisce la tesi di un uso
strumentale da parte dei governi occidentali di una minaccia che
colpisce soprattutto il Medioriente.
61 Nel libro di W. Sachs e T. Santarius (§ 5. Conflitti per l’equità in
un prossimo Labirinto), si calcola, sulla scorta di analisi
internazionali, che già oggi circa un miliardo di persone (il 16.6% della popolazione mondiale) vive nelle grandi, povere ed emarginate periferie urbane, teatro di un vita intessuta di povertà, di violenza, di arte di arrangiarsi e di condizioni ambientali disumane.
62 Vedi il testo completo del Rapporto finale in Commission on Social Determinants of Health - Final Report. Closing the gap in a generation: Health equity through action on the social determinants of health 63. L’origine della finanza islamica è in alcune teorizzazioni fondamentaliste, specialmente dei Fratelli Musulmani. Va comunque segnalata la dichiarazione che "diversi analisti prevedono che nel 2010 il giro d'affari toccherà il trilione di dollari, crescendo ogni anno del 15%. Un business che non è stato compromesso, se non marginalmente, dalla crisi dei mutui subprime". [da
Il Sole/24 ore del 5 febbraio 2008] 64 Per un qualche maggiore
ragguaglio sulla questione dell’islam e sui suoi rapporti con i diritti umani, che è un’altra area grigia di questa cultura, si vedano anche i capitoli dal 6 al 9 del mio già citato Religione e
no.
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